Didattica a Distanza

Quella che segue è la mia opinione personale sulla DAD in Italia, durante la pandemia da COVID19. Non sono uno che si definisce "politicamente corretto" perchè dico quello che penso e penso quello che dico, ma mi preferisco così, non sono schiavo di ideologie nè costretto a dire quello che fa piacere al padrone per evitare punizioni. Questa pagina si trova anche sul mio forum (vedi link in fondo alla pagina). Mi dispiace urtare la suscettibilità dei "politicamente corretti", ma non è tollerabile l'atteggiamento di istituzioni e giornali nei confronti di alunni, docenti e dirigenti. Anche perchè la verità sulla scuola in lockdown è troppo scomoda e farebbe scricchiolare lo scranno di tutti quelli che vi lucrano sopra. 

La verità sulla DAD

Partiamo dal principio indiscusso che “dovrebbe esistere” il diritto all’istruzione, sancito dalla Costituzione, ma trasformato in omissis per varie ragioni.
Facciamo un piccolo passo indietro nel tempo e ritorniamo al 2020.
Da un giorno all’altro le scuole vengono chiuse, lasciando senza parole, senza istruzioni e senza uno straccio di direttiva, discenti e docenti.
A quel punto entra rovinosamente in campo la tanto esecrata e parimenti osannata DAD.
Esecrata perché: pochissimi l’avevano già utilizzata (molto spesso in via sperimentale o per qualche progetto che ovviamente è finito lì, nel nulla, ignari del fatto che nel privato e nel resto del mondo civilizzato è invece ampiamente usato a vari livelli), gli alunni non erano affatto preparati ad utilizzarla, considerando anche la scarsa dotazione di dispositivi presso le famiglie (tutti hanno un cellulare, il PC aggiornato molti di meno) e le ridicole infrastrutture di rete disponibili in Italia. A questo aggiungiamo la mancanza di regolamentazione da parte di chi se ne doveva occupare (per il momento arrangiatevi, poi saranno gli Istituti a scervellarsi per trovare soluzioni, al ministero hanno altro da fare…). Come ciliegina sulla torta, non dimentichiamoci di aggiungere la mancanza pressoché totale di piattaforme valide (parlo solo dell’Italia), per cui è partita la caccia a quella più funzionale. Qui entra a gamba tesa un certo Google, con la sua oscena Gsuite (per la parola oscena verrò querelato, poiché non è politicamente corretta).
Perché Gsuite e quella schifezza che è Meet? Semplicemente perché molti Istituti l’avevano già inserita nella propria dote informatica, pur non usandola più di tanto, ma fa tanto bene all’immagine di una scuola… Tralasciando però di dire che a livello di funzionalità è praticamente zero. A chi volesse ribattere chiedo di spiegare agli altri come si silenzia un utente che disturba (nella nuova versione questa funzione non è ancora avanzata…dopo un anno). O di spiegare perché audio e video li puoi condividere solo dall’interno del browser che, se non è Chrome, ti dà dei problemi; questa è una grossa limitazione. O come si fa ad avere la lavagna virtuale su cui “passare il gessetto” agli studenti senza usare Jamboard (che richiede una ulteriore iscrizione, e qui ti sorge un piccolo dubbio sulla storiella della privacy e dell’uso che Google fa dei dati degli utenti). Come mai la scuola italiana si deve affidare ad una società che non paga (tra l’altro) neppure le tasse da noi, con tutti i guadagni che fa sulla pelle degli utenti? Era proprio così difficile dotarsi, negli anni, di una piattaforma governativa efficiente? La risposta è: sarebbe stato impossibile, perché i migliori programmatori lavorano nel privato (guadagnano per quello che valgono, non stipendi da stagista o contratti a tre mesi…), e le aziende che producono registri elettronici avrebbero dovuto chiudere.
A questo aggiungiamo l’inevitabile caos organizzativo e sindacale che ne è seguito. I presidi devono garantire l’attività didattica, così come i docenti. Emerge immediatamente il problema della mancanza di regolamentazione contrattuale, ma se abbiamo il contratto in attesa di rinnovo e di adeguamento da anni, di cosa stiamo parlando? Frasi dette ed accuse rimbalzanti da una parte all’altra, ma in mezzo ci sono gli alunni e i docenti, e chi se ne frega di loro, purtroppo il messaggio percepito è questo perché l’importante è riempirsi la bocca di frasi sull’eroismo, il coraggio e la resilienza. Ma equivale a ordinare di costruire una piramide partendo dal vertice e con mattoni di fango (perché queste sono le risorse…), anziché partire dalla base e usare materiali solidi e duraturi, e di arrangiarsi perché quello che conta sono i risultati, qualunque essi siano…
Osannata perché: finalmente, i profeti, i seguaci e i guru del “totally digital” hanno avuto la rivincita su quegli arretrati dei docenti italiani, da sempre (questa è l’informazione che viene passata al grande pubblico, per aizzare il popolo contro gli insegnante) gente che fa poco o niente e fa tre mesi di vacanza d’estate. Non è proprio così, ma non è politicamente corretto dire la verità. Perché tutta quella massa di applicazioni e piattaforme (ce ne sono moltissime, utili e funzionali, calibrate praticamente per tutti gli usi e per tutte le materie e livelli di difficoltà, anche per BES, DVA, Etc.) finalmente può dare la dimostrazione del senso della propria esistenza, basata soprattutto sul volontariato e sulle notti insonni di programmatori e docenti che si sono spesi per anni in uno sforzo che, prima della pandemia, sembrava destinato ad una èlite e ai pochi audaci in grado di padroneggiare la tecnologia. Andrebbe detto (ma anche questo non è politicamente corretto) che esiste il PNSD, pur con tutte le sue pecche organizzative e le sue dispersioni in mille rivoli diversi di risorse e di organizzazione, ma la volontà di migliorarlo si è sempre scontrata con normative obsolete e abbastanza discutibili (ma questa è un’altra storia, non voglio annoiarvi) e con la scarsa voglia dei docenti (solita informazione al grande pubblico).
Anche qui, lo scontro tra i sostenitori dell’una o dell’altra piattaforma, di questo o di quel software, del sistema operativo più o meno agile, del Bring Your Own Device (ma non tutte le scuole potevano fornirne a chi non li aveva….tempi amministrativi, progetti, gare di appalto, rischio di danno erariale…è complicato!), ha assunto a volte (leggendo giornali, social, forum e via discorrendo) toni epici. Ci sarebbe parecchio da ridere ma, riflettendoci su, molto di più da piangere.
E che dire di tutto il lavoro sommerso che non si può mostrare al pubblico proprio perché non politicamente corretto?
Mi spiego meglio. Se non fai provocazioni, se non aizzi all’odio di classe (docenti/discenti/dirigenti/amministrativi), se non esponi al pubblico ludibrio il docente che si comporta male in DAD (perché gli alunni possono farlo, attenzione, dato che i docenti e i dirigenti non hanno alcun mezzo per arginare questi fenomeni, anzi non devono neppure osare di pensare di farlo) o se non fai battaglia sindacale sulle oppressive circolari dei dirigenti, in realtà non riesci a distrarre l’attenzione del popolino dalla vera essenza del problema.
A questo punto ci si chiede quale sia effettivamente il problema.
Il problema è una scuola malata di vecchiaia. Vecchiaia mentale, pedagogica, strutturale, attitudinale, politica. Una scuola ancora organizzata in compartimenti pressochè stagni, con buona pace di chi si sforza di applicare l’interdisciplinarità, la transdisciplinarità, i curricoli trasversali e verticali, l’orientamento, l’aggiornamento, la tecnologia applicata alla didattica e molto altro.
Ma è una scuola in cui le voci fuori dal coro, quelle che propongono, quelle che vorrebbero davvero innovare (non rinnovare, perché in questo contesto assume il significato di ristrutturare) e rendere il mondo scolastico più efficiente, non sono politicamente corrette. Perché ormai da molti, troppi anni, la politica nei confronti della scuola è una sola: imporre a sorpresa riforme elaborate da chissà chi (e che spesso sembra non avere mai visto degli alunni e nemmeno mai messo piede su questo malandato pianeta) che vengono anche male applicate; parlare sempre male dei docenti dandogli la colpa delle carenza culturali del Paese (tralasciando di dire che è proprio grazie alla politica scolastica che ci sono le carenze culturali). Ogni tanto si lanciano a caso delle noccioline, per gratificare, ma le noccioline vengono prese dai pochi che si azzufferanno per prenderle. Il problema è che non si può dire la verità sulla scuola e sui docenti, altrimenti si perdono poltrone e prebende.
Ma torniamo alla DAD.
Per fare un parallelismo, immaginate di trovarvi di notte su una strada di montagna sconnessa e poco illuminata. D’improvviso si ferma la macchina. Ha un guasto al motore, alle sospensioni, una ruota bucata.
Hai tre possibilità: restare nella macchina ferma ad attendere i soccorsi, pregando che arrivino, perché non sai neppure se qualcuno si è accorto che sei in difficoltà, perché non c’è campo e il tuo telefono è scarico. Perciò prega e aspetta, e nel frattempo, prenditela con tutti gli altri (così, a scopo liberatorio).
Oppure, scendi, apri il cofano e cerchi di capirci qualcosa. Monti la ruota di scorta e cominci a spingere su per la salita, prima o poi arriverà un tratto pianeggiante o una discesa. Ma non ti fermi lì, non se ne parla neanche. A testa bassa e senza lamentarsi, tanto non ti ascolta nessuno.
In alternativa, insieme ai tuoi passeggeri, si scende dalla macchina e si prosegue a piedi tenendosi per mano per non perdersi nella notte, visto che i soccorsi (lo sai, ma non puoi dirlo agli altri...) non arriveranno, ma bisogna valicare la montagna e arrivare in un luogo più sicuro, un po’ pregando, un po’ ridendo, un po’ imprecando contro la ria sorte, ma cercando di mantenere il buonumore e la rotta giusta.
Eh già. Perché sulla tua macchina, docente, ci sono i tuoi studenti. I passeggeri che devi portare a destinazione, sani e salvi.
Diciamo che la DAD si è evoluta secondo queste tre soluzioni. E qui abbiamo visto chi si lamenta e basta (politicamente corretto), chi si dà da fare senza discutere e senza farsi problemi (non corretto), chi prosegue lo stesso, in un modo o nell’altro (non corretto neanche questo).
Di altre soluzioni non ho notizia (le voci fuori dal coro di cui sopra).
Soluzioni tecniche? Ce ne sono, ma si perdono voti, a provare a proporle (come ad esempio una vera riforma della normativa e dei contratti, una vera riforma dei curricoli e dei programmi, etc.).
Un’ultima considerazione sulle piattaforme. Lo so che non importa a nessuno di come si è organizzato un qualunque docente di provincia, ma voglio dirlo lo stesso (anche se non sono politicamente corretto).
Prima dicevo che Gsuite è oscena. Lo dico perché una piattaforma che non consente il controllo completo di tutti gli aspetti di una lezione virtuale (comunque la si voglia condurre) e che ti mette a disposizione quattro funzioni neppure configurabili (in nome della Dea Privacy) implica che chi ha pensato questa piattaforma pensa che sia destinata a degli stupidi, che si accontenteranno perché è meglio di niente e perché non bisogna fare nessuna fatica, guai a sprecarsi.
Lo dico perché ho potuto nella prima chiusura, utilizzare Zoom (versione gratuita, collegamenti da 40 minuti per volta, basta prendersi il fastidio di reinviare il link…), a cui hanno fatto mille problemi per supposte falle di privacy, tralasciando di dire che: aziende, confessioni religiose, infrastrutture governative e altri, hanno utilizzato Zoom con grande funzionalità, dal momento che permette molto, ma molto di più di Meet.
E per la classe virtuale ho utilizzato Edmodo, piattaforma che conosco e utilizzo da quando è stata implementata nel 2009, dal funzionamento pratico ed intuitivo, gratuita anch’essa.
Ma non si può dire tutto questo, perché non è politicamente corretto, in quanto gratuito.
Infatti, con gli strumenti che usavo prima (ora sono obbligato ad usare Gsuite) nella situazione della macchina ferma, è stato come avere un Hummer come mezzo di scorta per proseguire il viaggio a tutti i costi.
Con Gsuite mi sono dovuto accontentare di un monopattino senza ruote.
Ci sarebbe ancora molto altro da dire, ma i punti di vista personali, se non supportati da autorevoli opinionisti ben raccomandati e politicamente corretti, non sono graditi, lo so bene.
“Non trovare difetti, trova rimedi. A criticare sono capaci tutti”. È una frase di Henry Ford (non ho usato una frase celebre italiana perché “nemo propheta in patria”).
Purtroppo, chi propone rimedi, non è politicamente corretto, perché ha trovato il difetto…ma guai a dirlo in giro!

 

PS: io ho utilizzato le soluzioni 2 & 3.